CALOGERO GAMBINO
  Omaggio a Lillo Gambino
di Antonina Greco
 
 
         
  Affiora ormai soltanto dai ricordi l'immagine di Lillo Gambino avvolta da quel silenzio del quale egli stesso ha sempre amato circondarsi nello spazio della sua vita di uomo e di operatore artistico, caposcuola dell'arte della ceramica a Monreale. Con un seguito ricco di allievi di varia generazione e di deversa estrazione, alcuni dei quali ancora ripercorrono con prestigio il magistero del suo insegnamento nel tracciato di un cammino che si è fatto tradizione.
È non solo nell'ambito della produzione artistica, quanto anche nell'approccio esistenziale e personale nel quale Lillo Gambino ha rivelato un atteggiamento sempre confacente alla sua benevolenza: quasi paterna prima di essere lui stesso padre soprattutto verso i giovani e ancora più avanti perfino con i bambini che amava raccogliere nel suo laboratorio per avviarli alla manipolazione della materia e alla realizzazione di piccoli oggetti di ceramica, rivelando al contempo innato disinteresse, disponibilità anche sociale. E in particolare radicata fede nell'operare.
A questo ruolo storico lo aveva indirizzato lo stesso Benedetto Messina quando agli inizi degli anni Sessanta il giovane Lillo Gambino gli si era avvicinato per frequentarne lo studio, attratto dalla personalità multiforme del maestro, con il quale avrebbe condiviso la progettazione e la realizzazione di molti lavori, e perfino il restauro del settecentesco pannello maiolicato raffigurante il Crocifisso nella chiesa della Collegiata, a pochi passi dal luogo di lavoro.
Con sagace intuizione Benedetto Messina ha saputo intravvedere in lui la persona alla quale affidare la conduzione di quei corsi serali di ceramica: premessa per la formazione di un settore del futuro Istituto d'Arte per il Mosaico e per la Ceramica. Lo stesso che ben presto si sarebbe aperto a Monreale, dove anche Lillo Gambino ha insegnato per lungo tempo.
Cresceva infatti nella piccola cittadina normanna l'interesse per questa attività, grande attrattiva per i giovani più sensibili mossi da voglia di fare e curiosità intellettuale verso una pratica dell'arte assolutamente nuova e alternativa: Lillo Gambino l'ha raccolta e l'ha catturata attraverso una affabulanteintroduzione alla tecnica anche a "lucignolo" o alla decorazione "a ramina": quasi una scoperta che riportava all'uso primigenio della materia. Lo stesso che apparteneva agli antichi vasai.
Alle sue spalle Lillo Gambino a quel tempo aveva già un mestiere solido maturato in un umile apprendistato nelle botteghe di Santo Stefano dove si perpetua ancora la pratica dell'arte della terracotta come in altri luoghi altrettanto famosi della Sicilia: arte fittile e pertanto ritenuta precaria, ma al contempo arte antica e nobile se si pensa alla sua discendenza dagli antichi maestri coroplasti della Magna Grecia,
 

autori di opere stupefacenti ancora orggi nell'epoca che vede nascere l'artigianato digitale. La sapienza del fare perfezionata con assidua dedizione ben presto si associa alla volontà di approfondire gli studi presso l'Istituto d'Arte e successivamente all'Accademia di Belle Arti di Palermo. Soprattutto nei corsi di Scultura dove la pratica del modellare una materia duttile e remissiva prende ora forma di ricerca plastica sempre presente nelle sue opere. E si arricchisce parallelamente di quella componente decorativa data alla ceramica dall'intervento degli smalti colorati, esperienza condotta anche fuori dal territorio; come quella svolta in fabbrica a Torino con Sebastiano Guercio, maestro del tornio, al quale lo legherà un sodalizio artistico lungo alcuni decenni.
Da questi presupposti si articola la cifra personale che contrassegna la produzione di Lillo Gambino. Non è infatti un caso che una sua bella mostra dell'89, ordinata presso l'Associazione Pantaleo di Monreale, abbia una ermetica sigla: "sculture e piatti". Opere come tante altre realizzate senza definizione di nomi o di date, delle quali è difficile impaginare il divenire e la evoluzione; definire la storicità di un catalogo.
Non resta dunque che rileggerle nella loro duale essenza specifica: testimonianza da una parte di una ricerca costante di volumi che si aggregano nello spazio. Elementi quasi sempre naturiformi partono da primigeni motivi curvilinei e si involgono e si svolgono anche quando propongono apparenze di astrazione come la sfera, gioco di pieni e di vuoti che appartiene ai suoi primi anni; o le figure più tarde realizzate sempre strizzando l'occhio alla scultura. Peraltro verso esse stesse ricerca di espressioni decorative che nascono da una prassi spesso sperimentale, affidata alla composizione e alla scomposizione di smalti colorati che nella incandescenza delle alte temperature o nella immissione di materiali vitrei attingono effetti inconsueti: i suoi segreti di studio, con i quali si sono confrontati molti ceramisti ancora attivi nell'ambito di una produzione non industriale.
Qui si conclude il racconto delle sue opere e della sua vita di artista, schiva e silenziosa; raccolta nella sua schietta interiorità. E in quella disciplina del fare che è al contempo la sua identità e lezione di vita.

Palermo, ottobre 2011