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Affiora
ormai soltanto dai ricordi l'immagine di Lillo Gambino
avvolta da quel silenzio del quale egli stesso ha sempre
amato circondarsi nello spazio della sua vita di uomo e
di operatore artistico, caposcuola dell'arte della ceramica
a Monreale. Con un seguito ricco di allievi di varia generazione
e di deversa estrazione, alcuni dei quali ancora ripercorrono
con prestigio il magistero del suo insegnamento nel tracciato
di un cammino che si è fatto tradizione.
È non solo nell'ambito della produzione artistica,
quanto anche nell'approccio esistenziale e personale nel
quale Lillo Gambino ha rivelato un atteggiamento
sempre confacente alla sua benevolenza: quasi paterna prima
di essere lui stesso padre soprattutto verso i giovani e
ancora più avanti perfino con i bambini che amava
raccogliere nel suo laboratorio per avviarli alla manipolazione
della materia e alla realizzazione di piccoli oggetti di
ceramica, rivelando al contempo innato disinteresse, disponibilità
anche sociale. E in particolare radicata fede nell'operare.
A questo ruolo storico lo aveva indirizzato lo stesso Benedetto
Messina quando agli inizi degli anni Sessanta il giovane
Lillo Gambino gli si era avvicinato per
frequentarne lo studio, attratto dalla personalità
multiforme del maestro, con il quale avrebbe condiviso la
progettazione e la realizzazione di molti lavori, e perfino
il restauro del settecentesco pannello maiolicato raffigurante
il Crocifisso nella chiesa della Collegiata, a pochi passi
dal luogo di lavoro.
Con sagace intuizione Benedetto Messina ha saputo
intravvedere in lui la persona alla quale affidare la conduzione
di quei corsi serali di ceramica: premessa per la formazione
di un settore del futuro Istituto d'Arte per il Mosaico
e per la Ceramica. Lo stesso che ben presto si sarebbe aperto
a Monreale, dove anche Lillo Gambino ha
insegnato per lungo tempo.
Cresceva infatti nella piccola cittadina normanna l'interesse
per questa attività, grande attrattiva per i giovani
più sensibili mossi da voglia di fare e curiosità
intellettuale verso una pratica dell'arte assolutamente
nuova e alternativa: Lillo Gambino l'ha raccolta e l'ha
catturata attraverso una affabulanteintroduzione alla tecnica
anche a "lucignolo" o alla decorazione "a
ramina": quasi una scoperta che riportava all'uso primigenio
della materia. Lo stesso che apparteneva agli antichi vasai.
Alle sue spalle Lillo Gambino a quel tempo aveva già
un mestiere solido maturato in un umile apprendistato nelle
botteghe di Santo Stefano dove si perpetua ancora la pratica
dell'arte della terracotta come in altri luoghi altrettanto
famosi della Sicilia: arte fittile e pertanto ritenuta precaria,
ma al contempo arte antica e nobile se si pensa alla sua
discendenza dagli antichi maestri coroplasti della Magna
Grecia, |
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autori
di opere stupefacenti ancora orggi nell'epoca che vede
nascere l'artigianato digitale. La sapienza del fare perfezionata
con assidua dedizione ben presto si associa alla volontà
di approfondire gli studi presso l'Istituto d'Arte e successivamente
all'Accademia di Belle Arti di Palermo. Soprattutto nei
corsi di Scultura dove la pratica del modellare una materia
duttile e remissiva prende ora forma di ricerca plastica
sempre presente nelle sue opere. E si arricchisce parallelamente
di quella componente decorativa data alla ceramica dall'intervento
degli smalti colorati, esperienza condotta anche fuori
dal territorio; come quella svolta in fabbrica a Torino
con Sebastiano Guercio, maestro del tornio, al quale lo
legherà un sodalizio artistico lungo alcuni decenni.
Da questi presupposti si articola la cifra personale che
contrassegna la produzione di Lillo Gambino. Non è
infatti un caso che una sua bella mostra dell'89, ordinata
presso l'Associazione Pantaleo di Monreale, abbia una
ermetica sigla: "sculture e piatti". Opere come
tante altre realizzate senza definizione di nomi o di
date, delle quali è difficile impaginare il divenire
e la evoluzione; definire la storicità di un catalogo.
Non resta dunque che rileggerle nella loro duale essenza
specifica: testimonianza da una parte di una ricerca costante
di volumi che si aggregano nello spazio. Elementi quasi
sempre naturiformi partono da primigeni motivi curvilinei
e si involgono e si svolgono anche quando propongono apparenze
di astrazione come la sfera, gioco di pieni e di vuoti
che appartiene ai suoi primi anni; o le figure più
tarde realizzate sempre strizzando l'occhio alla scultura.
Peraltro verso esse stesse ricerca di espressioni decorative
che nascono da una prassi spesso sperimentale, affidata
alla composizione e alla scomposizione di smalti colorati
che nella incandescenza delle alte temperature o nella
immissione di materiali vitrei attingono effetti inconsueti:
i suoi segreti di studio, con i quali si sono confrontati
molti ceramisti ancora attivi nell'ambito di una produzione
non industriale.
Qui si conclude il racconto delle sue opere e della sua
vita di artista, schiva e silenziosa; raccolta nella sua
schietta interiorità. E in quella disciplina del
fare che è al contempo la sua identità e
lezione di vita.
Palermo,
ottobre 2011
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